Librinfaccia torna con "Il cielo a sbarre" di Cesarina Ferruzzi
- Maria Pia Catamerò
- 3 ago 2016
- Tempo di lettura: 3 min

Per lo speciale fuori programma dopo lo strepitoso duetto tra Viola e Lazzarin, Librinfaccia si ripropone presentando il libro "Il cielo a sbarre" di Cesarina Ferruzzi. In un'alternativa location, il B&B "La terrazza sulla rupe", dove regna la naturalezza e la genuinità delle piccole cose, l'autrice è stata intervistata dalla professoressa Paola Lisimberti, sorprendente in veste di moderatrice.
Questo libro parla di una vita. Una vita vera, quella di Cesarina, una donna come tante, o così credeva. Una vita in cui ha dovuto essere forte, incredibilmente caparbia. Una vita in cui ha dovuto sopravvivere, continuando a credere che non sempre per raggiungere il bene è indispensabile attraversare il male. Il libro racconta i 133 giorni trascorsi nel carcere di San Vittore, uno di quei posti in cui sai quando entri, ma mai quando esci. Non appena se ne varca la soglia, sembra tutto diverso, come se la realtà si congelasse. Che quegli instanti, ultimi da persona libera possano non tornare mai. Vorresti fuggire, fermare il tempo, correre via. Ma non si può. Da nulla si fugge, dice l'autrice. Scappare dal buio non è lecito, accendere la luce invece si. Come ha fatto lei, in quella cella di 2 metri per 2 metri e cinquanta. Dove tutto era triste, una volta chiusa lì, con le sue paure. Ma arrendersi no, non era previsto. Bisogna lasciare sempre uno spiraglio di luce aperto, affinché in certi momenti ci si possa rifugiare, per poi ricavarne energia pura. Ci sono diversi tipi di carcerati, dice l'autrice. C'è chi si lamenta e si chiude in se stesso. C'è anche chi è disposto a tutto pur di andare via, anche di patteggiare. E poi c'è chi, guardandosi allo specchio, decide di voler combattere a testa alta, e di superare le difficoltà in modo da poter uscirne al meglio. Ecco, lei è stata una di quelle persone. Tutti credevano che lei, manager di successo, donna in carriera, vista dissolta la sua vita in pochi attimi, potesse cedere al primo istante. Credevano che avrebbe confessato, o, per lo meno, speravano potesse dire loro quello che volevano sentirsi dire. Invece no, e da buona guerriera ha continuato a credere di poter andare avanti fino all'ultimo. Ha cominciato a credere di poter cambiare le cose. Che con la forza e la perseveranza il mondo potesse girare diversamente. E che anche le persone che lo abitano potessero cambiare mentalità. Chiede così in gestione la palestra del carcere, luogo inizialmente frequentato unicamente da zingare. Donne dai capelli unti e dai denti per lo più inesistenti. Donne per le quali vale la pena di lottare. Analfabete, senza alcuna istruzione, con la pretesa di perdere peso correndo. Ma è proprio quella forza di volontà che aiuta ad andare avanti. E a rimanere se stessi. Ed è così che il carcere diventa un percorso di riflessione, anche grazie alla scoperta di una biblioteca, colorata e divertente, poiché precedentemente adibita a sala giochi per i figli delle detenute. Scrivere e leggere salvano dall'oblio. Ti prendono per mano e non ti lasciano più. Ti aiutano a cercare in te nuove porte ancora da aprire. Come quella di un mondo nuovo. Un mondo dove poter rivivere frammenti di vita persi nel nulla. Un mondo dove fare del bene agli altri vuol dire poter volare dentro. Liberare farfalle nascoste. Imparare che il male si può combattere. Non solo con altro male, ma con del bene, che lo atterrisce e riesce a fortificarti. Perché per stare bene, bisogna innanzitutto stare in pace con se stessi, e sconfiggere ogni fantasma che ci opprime. Rompere ogni catena che ci attanaglia. Fuggire dalla prigione che c'è in noi. I nostri nemici più grandi sono quelli che teniamo nascosti dentro di noi. E bisogna trovare la forza per scappare, trovare una via di fuga, allontanarsi dalle proprie paure e rifugiarsi in un mondo nuovo, fatto su misura per noi, che ci possa finalmente far sentire liberi.
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