Marcello Introna racconta di Franco Percoco, una persona malata di normalità
- Giulia D'Alò
- 19 giu 2016
- Tempo di lettura: 3 min

Con un incantevole sfondo creato dalla Città Bianca in tutta la sua bellezza, lo sceneggiatore e autore Marcello Introna ci ha regalato parte del suo tempo, rispondendo con gentilezza, onestà e anche un pizzico di ironia a tutte le domande sul suo primo romanzo, Percoco, edito da Mondadori. L’incontro, organizzato da Librinfaccia, si è svolto in un vicolo del centro storico di Ostuni, adiacente al Cicinedda Fruit Bistrot, che ha ospitato pubblico, intervistatore, Fabio Fanelli, e intervistato.
Percoco è un romanzo che, ambientato nella Bari del dopoguerra, racconta con poesia una storia che di poetico ha ben poco: la vita di Franco Percoco, dei suoi genitori Vincenzo e Eresvida, e dei suoi fratelli Giulio e Vittorio; storia che, a dire dell’autore, sarebbe dovuta essere piena di “sangue e budella”, ma che, sorprendentemente, non lo è affatto. Una storia di realtà ignorate e rifiutate, come la realtà della sindrome di Down di cui era affetto Giulio o delle difficoltà del “presunto capofamiglia” ad esprimersi: “Come quella volta in cui non rispose a suo figlio né quando era ancora nella sua stanza, né quando aveva sbattuto la porta della stanza, né quando aveva sbattuto il portone di casa e neanche quando ormai Franco era in via Celentano. Era il 25 maggio 1953, e di lì a poco sarebbe accaduto il peggio.”
Il peggio a cui si riferiva lo scrittore è la prima strage familiare mai avvenuta in Italia: Franco, in preda all’alcool e alla rabbia, con un coltello da cucina colpisce sua madre al collo mentre dorme nello stesso letto di suo padre, che invece viene massacrato pochi secondi dopo da tredici coltellate in petto. Dopo aver ucciso così brutalmente la donna che lo aveva messo al mondo e l’uomo che l’aveva cresciuto, seppur silenziosamente e senza prendersi alcuna responsabilità, Franco Percoco si avvia verso l’unica altra persona presente in casa: suo fratello minore Giulio, di appena vent’anni.
Il fratello maggiore Vittorio era in prigione per cleptomania, e per questo la signora Percoco voleva che Franco si laureasse e che divenisse l’orgoglio della famiglia, dato che dei tre figli lui sembrava il più sano. Ma come si scoprirà, l’unico sano in quella famiglia era Giulio, nonostante la sindrome di Down che l’aveva portato a restare per tre anni chiuso in un manicomio. Lo stesso Franco era stato più volte in manicomio, ma era tornato a casa ogni volta perché era considerato completamente sano. L’ironia della sorte vuole che proprio per la sua presunta infermità mentale Franco abbia una notevole diminuzione degli anni da passare in galera.
Franco, ancora lucidamente folle, colpisce con trentotto coltellate il fratello minore. Sempre cosciente di ciò che stava facendo, l’assassino protagonista di questa storia, tenta di nascondere i cadaveri nell’armadio, fallendo. Decide quindi di portarli nella stanza da letto, in cui spruzza un deodorante “perché la morte va resa profumata” e che sigilla. Per dodici lunghi giorni Franco continua a vivere in quella casa, organizzando feste e cene, fin quando il tanfo della decomposizione non diventa insopportabile.
Ergastolo, poi diminuito a trent’anni, scontati solo due terzi. Franco, dopo la prigione, si trasferisce, si sposa, ha dei figli, come se mai avesse davvero conosciuto i valori di una famiglia nei suoi primi ventiquattro anni di vita. La famiglia Percoco è considerata dall’autore profondamente rappresentativa della società italiana, in cui le reali verità vengono prontamente nascoste e sostituite da altre verità, nuove e rituali.
L’autore scrive con maestria raccontando di una vicenda di cui si è troppo sentito parlare, senza mai essere realmente compresa: certamente il romanzo può presentare delle incongruenze con la realtà, perché tutto è stato immaginato e costruito sugli atti del processo. L’autore ha ammesso di essere abituato a comprendere senza chiedere, avendo studiato veterinaria, quindi ha ricostruito nella sua immaginazione questa storia, non essendo-per fortuna- stato lì in quella casa con loro.
Con le sue parole, la sua semplice e limpida umiltà, lo scrittore ha intrattenuto il pubblico con simpatia e genuinità. In pochissimo tempo ha parlato di sé senza aver realmente mai raccontato qualcosa di personale.
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