Stelle perdute
- Paola Lisimberti
- 27 gen 2015
- Tempo di lettura: 3 min
Giovanni Amati, nato ad Ostuni il 15 agosto 1917, soldato semplice del 9° reggimento di fanteria Regina, che da un verbale di irreperibilità redatto il 10 giugno del 1947 dal Distretto militare di Taranto risulta disperso a Rodi, sul fronte mediterraneo orientale alla data dell’8 settembre ’43. La sua storia è quella del suo reggimento: dopo l’armistizio, entro la fine di settembre a Rodi vengono disarmati 36.173 militari italiani. 9.770 uomini delle divisioni Cuneo e Regina vengono presi durante i combattimenti. E per quanto ci è dato dedurre dagli eventi successivi tra questi anche il soldato Giovanni Amati. I prigionieri provenienti da Rodi furono riuniti nei campi di transito di Atene dulag 136, di Salonicco dulag 166 e del porto del Pireo. Per il trasferimento si impegnarono le navi, anche le navi ospedale, e gli aerei senza rispettare i principi della sicurezza. La destinazione dei militari italiani non era l’Italia come fu fatto loro credere, ma i campi di concentramento in Germania, dove furono sfruttati nelle fabbriche, nelle miniere, nelle cave.
Infatti, la copia dell’atto di morte del soldato Giovanni Amati risulta iscritta nel registro dell’Ufficio di stato Civile di Arolsen-Waldeck, in Germania, dal quale si evince che il soldato muore di dissenteria il 7 aprile 1945. Arolsen è uno dei 130 sottocampi di Buchenwald, uno dei campi di sterminio più tristemente noti.
Leonardo Cavallo, aviere, nel settembre del 1943 aveva 24 anni e prestava servizio presso il Regio Aereoporto di Forlì.
In un documento del 15 novembre 1945 un appunto a matita rivela che il militare Cavallo Leonardo non scrive da almeno tre anni.
Alla data del 9 giugno 1947 l’aviere Cavallo Leonardo risulta ancora disperso e aperte le pratiche relative al soccorso giornaliero per i famigliari dei militari trattenuti.Il suo nome, data e luogo di nascita figurano nelle liste dei pugliesi caduti nei campi di concentramento. Muore a Dachau presumibilmente non oltre il 29 aprile 1945, data della liberazione del campo da parte degli americani.
La vita dei deportati in Germania non è facile, anche perché la propaganda antiitaliana scatena contro di loro l’odio della popolazione, che attribuisce loro la responsabilità dell’armistizio. Vengono definiti carogne, gentaglia, porci badogliani. E poiché hanno tradito la causa tedesca si pongono al di fuori della comunità umana e meritano di essere accomunati agli ebrei. E quindi di condividerne il destino.
Luigi Flore, richiamato alle armi, Unione nazionale protezione antiaerea, nato a Ostuni l’8 marzo 1892.
Di Luigi abbiamo una lettera autografa del 1 settembre 1941 nella quale chiede, essendo stato mobilitato nella Unione nazionale protezione antiaerea, un sussidio giornaliero per la moglie, Giuseppina Rizzi, e per la sorella, Flore Caterina, che non ha altre fonti di sostentamento e non può lavorare.Dai documenti Luigi Flore risulta essere un deportato politico.Infatti, viene deportato durante i terribili rastrellamenti tedeschi a Genova del ’44.
Dalle liste contenute nel supplemento ordinario alla gazzetta ufficiale n.130 del 22 maggio 1968 si apprende che Flore Luigi nato a Ostuni l’8 marzo 1892 muore nel campo di Deportazione di Gusen il 3 febbraio 1945 dopo 12 mesi di prigionia.
A Gusen detto la tomba degli italiani, il periodo medio di sopravvivenza era di due soli mesi. Si calcola che vi morirono in un tempo relativamente breve più di 57.000 deportati. I nomi dati dei deportati italiani qui deceduti sono 1.451.
Alcuni numeri:
All’8 settembre del 43 l’Italia aveva alle armi approssimativamente 3.700.000 soldati
Deposero le armi 1.007.000 militari la maggior parte dei quali trovò la morte, 650.000 furono gli internati militari nei campi nazisti.
Rinchiusi nei lager rifiutarono ogni forma di collaborazione con il terzo Reich e con la Repubblica Sociale Italiana e costituirono la prima forma di quella che è stata definita “resistenza senz’armi”.
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